ACCADEMIA DEL GUSTO
LA SPEZIA 2006

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FESTE NELL’AIA


Primo Maggio


di Franco Carozza

FAVE E FORMAGGIO

Per il 25 Aprile e il Primo Maggio 2009, gli Accademici del gusto hanno organizzato due incontri all’aria aperta, uno nello “spazio ospiti” del parco di Elisabetta e Sandro Niccolai nella collina di Isola e l’altro a Debbio di Bolano nel salone del castelletto merlato di Diego e Caterina Carpitella. Nell’uno e l’altro caso con passeggiata e visita ai richiami storici della zona. Due panorami stupendi, il primo sulla città e sul golfo e l’altro con uno sguardo sulla Val di Vara e Val di Magra.
A tavola indispensabili grigliate miste di carni e le fave fresche raccolte in mattinata con salumi e formaggi tipici provenienti da varie regioni. L’argomento gastronomico principalmente affrontato è stato quello delle minestre di fave fresche.

ORIGINI ALIMENTARI
Questo piatto, che può vedere la sostituzione delle fave secche in ammollo (meglio fresche appena sgranate), ci riporta alle origini alimentari di tanti popoli italici. Già i romani, nelle provinciali “pultes”, comprendevano oltre alla polenta di farro anche quella di legumi e in particolare, di fave (pultes favata). Alla Spezia, terra del porto di Luni, questi elementi li ritroviamo nella mesciüa. Un tempo, ai ceci, fagioli cannellini e al farro, si aggiungeva un pugnetto di fave e cicerchie. Alle Grazie, borgo di Porto Venere (stretti i collegamenti tra Luni e la Villa Romana) nella mesciüa mettono ancora le fave secche. Torniamo alla storia e alle ricerche sui Sanniti (Sanniti e Liguri Apuani si sono integrati al tempo dei Romani per le deportazioni e molte le influenze alimentari). E riflettendoci oggi scopriamo che i primi abitanti di Bolano sono stati i Liguri-Apuani. Ad essi si deve forse, la tomba a cassetta dissepolta a fine ottocento in località Viara e i cui resti superstiti sono al museo civico della Spezia. Per l’occasione, girando per il centro storico di Bolano, abbiamo avuto come oratore ufficiale, nientemeno che l’amico Diego Carpitella. Un oratore severo che non ammetteva distrazione.

La mattinata è passata così girando per il centro storico, sostanzialmente integro nella sua struttura urbanistica medioevale. Piazzette, slarghi, intrichi di vie che hanno il loro punto di raccordo nel piazzale della Chiesa parrocchiale. Dopo aver visto l’oratorio dei SS. Antonio e Rocco, che faceva parte di un complesso conventuale edificato alla fine del ‘500, le tre porte d’ingresso al paese e alcune abitazioni storiche, siamo stati ricevuti in cantina per una degustazione di vini dal presidente della cooperativa “I Castelli” Paolo Ricciardi. Il vino buono è tornato dopo anni di abbandono delle terre. Fondamentale nel 1998 la costituzione della cooperativa che oltre a stimolare il ripristino e la coltivazione di vecchi vitigni ha ridato vita alla secolare celebre produzione, realizzando due ottimo vini, il vermentino e il rosso, Colli di Luni Doc “I Castelli”.

La passeggiata storica è terminata. Si torna al “Debbio”. In taverna, oltre ad una tavolata di fave e la brace pronta per gli arrosti, ci sono tanti stuzzichini da gustare. I discorsi tornano alle fave e i piatti dei Liguri Apuani e dei “cugini” Sanniti.

LIGURI APUANI E SANNITI
Le fave venivano annoveravate tra le risorse alimentari di quei popoli, che per altro, non erano povere e monocordi. Da quel tempo in poi non c’è stata famiglia coltivatrice, povera o ricca, che non abbia integrato le sue piccole produzioni e i suoi consumi con le fave, che hanno il pregio di potersi conservare per l’inverno. Le fave, anzi, sono diventate a lungo andare, compagne di vita, tant’è che nei paesini e frazioni montane, si sono insinuate nelle ore di intimità, trascorse d’inverno davanti al camino, cotte lesse o arrostite, o in quelle di divertimento e di intrattenimento passate all’osteria come “sfizio” alimentare e stimolo a chiacchiere e racconti.

Passeggiate fuori porta
Oggi le fave sono legate principalmente alle prime passeggiate primaverili. Si va fuori porta a mangiare “fave e formaggio”, ma si mangiano anche sgusciate e condite con l’olio o anche lesse sempre condite con un filo d’olio e pepe. Ottime le minestre. Vediamo alcuni esempi:


FAVE FRESCHE IN STUFA
(partiamo da Artusi)

“Prendete baccelli di fave grosse e granite, sgranatele e sbucciatele. Tritate fine una cipolla novellina, mettetela al fuoco con olio, e quando comincia a rosolare, gettate nel soffritto prosciutto grasso e magro tagliato a dadini. Dopo poco versate le fave, conditele con pepe e poco sale e quando avranno preso il condimento, aggiungete un grumolo o due, a seconda della quantità delle fave, di lattuga tagliata all’ingrosso e finite di cuocerle con brodo, se occorre.

ZUPPA DI FAVE FRESCHE
(regioni del Sud)

Uguale procedimento. Versate l’olio in un tegame e fate soffriggere due cipollotti precedentemente tagliati fini, aggiungete un chilo di fave fresche e fatele cuocere a fuoco moderato, aggiungendo qualche mestolo di acqua calda. Venti minuti di cottura bastano. Alla fine battete due uova con formaggio e pepe in una zuppiera e versatele nel tegame per far riprendere il tutto. Due mestoli nel piatto caldo sono un’ottima razione.

ZUPPA DI FAVE E CICORIA
(ricetta di confine Molise e Puglia)

Un kg di fave fresche – un kg di cicoria selvatica – un bicchiere circa di olio d’oliva, una cipolla, sale q.b.

Versate l’olio in un tegame e fatevi soffriggere dolcemente la cipolla, unite le fave precedentemente sbucciate e lavate, salatele e lasciatele cuocere, a calore moderato, aggiungendo qualche mestolo di acqua calda. Intanto pulite la cicoria eliminando le foglie più dure, lavatela accuratamente e lessatela in una pentola con acqua salata; a mezza cottura sgocciolatela, tritatela se necessario ed unitela alle fave. Fate insaporire per pochi minuti la zuppa mescolando a schiacciando con una forchetta le fave in modo che diventino cremose. (Fuori stagione si possono utilizzare le fave congelate oppure le secche messe precedentemente in ammollo).

ZUPPA DI FAVE SECCHE

500 g. di fave secche (in commercio si trovano quelle già sgusciate) 150 g di lardo di prosciutto, ½ bicchiere di olio di oliva, due cipolle, un ciuffo di prezzemolo, sale q.b., fette di pane casereccio.

Mettete in bagno per una notte le fave. Il giorno successivo lavatele e fatele lessare, a fuoco moderato, in una “pignatta” di terracotta, coperte di acqua salata. Preparate un battuto finissimo di lardo, cipolla e prezzemolo e fatelo rosolare dolcemente in un tegame insieme all’olio, unitevi le fave ben cotte (scolate dell’acqua di cottura) e fate insaporire per qualche minuto. Quando le fave avranno assorbito tutto il condimento, aggiungete qualche mestolo della loro acqua e terminate la cottura. Servite questa zuppa ben calda, accompagnata da fette di pane abbrustolite.

FAVE IN UMIDO
(Valle d’Aosta)

600 g di fave, una fetta di prosciutto crudo di circa 100 g. 1 cipolla, 1 spicchio d’aglio, brodo q. b. , polpa di pomodoro, olio extravergine di oliva, sale, pepe.

Lessate prima le fave, salando verso la fine cottura, quindi scolate. Mettete al fuoco un tegame con qualche cucchiaio d’olio, il prosciutto tagliato a dadini, la cipolla e l’aglio tritato. Dopo pochi minuti aggiungete tre cucchiai di polpa di pomodoro, le fave, sale e pepe. Lasciate cuocere per 15 minuti circa, bagnando di tanto in tanto con brodo o acqua calda, quindi servite.

MINESTRA DI FAVE con pasta
(Lazio)

400 g di fave fresche, 50 g di guanciale, 1 cipolla, 2 spicchi d’aglio, 150 g di pomodori maturi, 200 g di pasta formato ditaloni, pecorino grattugiato, olio extravergine d’oliva, sale, pepe.

Fate soffriggere in una pentola un battuto di guanciale, cipolla e aglio; unite il pomodoro spellato e spezzettato, quindi le fave scottate in acqua bollente. In quelle grosse va tolta la buccia. Coprite con l’acqua, regolate di sale e pepe e fate cuocere su fuoco basso per 30 minuti. Aggiungete dell’altra acqua (se la minestra è troppo densa) e versate la pasta. Altri 10 minuti di cottura bastano. Controllate la cottura perché molto dipende dalla freschezza delle fave e dal tipo di pasta.
Servite in tavola spolverando pepe macinato e pecorino grattugiato.

MINESTRA DI FAVE, PISELLI E RISO

200 g di fave fresche, 150 g di piselli freschi, 150 g di riso, 2 pomodori maturi, 2 carciofi, 1 cipolla, 1 zucchina, 1 patata, prezzemolo, alcune foglie di basilico, 50 g di pecorino, olio extravergine d’oliva, sale.

Preparate le verdure: tagliate a cubetti zucchina, patata, pulite bene i carciofi e fateli a fettine (senza le foglie e le punte dure), sbollentate le fave. Tritate la cipolla e fatela soffriggere con poco olio in una pentola, dopo qualche minuto aggiungete i pomodori a pezzetti, le fave, i piselli, i carciofi, i tocchetti di zucchina e patata. Coprite il tutto con abbondante acqua, salate e lasciate cuocere a fuoco moderato per circa mezzora. Versate il riso nella minestra e lasciate sul fuoco ancora per il tempo di cottura, una ventina di minuti. Spolverate infine col prezzemolo tritato, le foglie di basilico sminuzzate e il pecorino grattugiato. Condite con un filo d’olio e servite caldo in tavola.

MINESTRA DI PATATE E FAVE
(Piemonte)

400 g di fave fresche, 2 patate, 1 cipolla, 3 spicchi d’aglio, 5 pomodori maturi, 2 fette di pancetta, 100 g di pasta formato ditalini, parmigiano grattugiato, olio extravergine d’oliva, sale, pepe.

Sbollentate le fave. Mettete a rosolare la cipolla e l’aglio tritati finemente con l’olio e la pancetta a dadini. Unitele al soffritto le fave assieme ai pomodori tagliati a pezzetti e alle patate tagliate a cubetti. Coprite con acqua e salate. Coprite e portate a bollore lasciando cuocere per almeno mezzora. Unite la pasta e cuocetela il tempo necessario. Quindi servite spolverando con parmigiano grattugiato e una generosa macinata di pepe.


In giro per l’Italia, compreso le isole, ci sono tante altre ricette che sono molto simili, ma per fare un salto nella nouvelle cucine, vediamo una ricetta fantasiosa

SFORMATO DI FAVE E PATATE

Questa ricetta inventata da Salvatore Marchese
come racconta con enfasi la voce del padrone, Gabrielle Molli,
dovrebbe essere della Cucina ligure di Levante
(come dire di casa nostra – in pratica è una schifezza)

300 g di fave fresche, 50 g di tonno (ventresca, preferibilmente al naturale) 1 tazza di besciamella (un poco fluida), un poco di farina (per gli stampini) 1 patata di media grandezza, 50 g di parmigiano grattugiato, 2 uova, burro per gli stampini, sale e pepe.

Lessate in acqua salata, le fave e a parte la patata con la buccia. Scolare le fave. Spellare la patata, unirla ai legumi e passare il tutto nel mixer. Raccogliere la crema in una ciotola con le uova, il parmigiano, il sale, il pepe e un po’ di besciamella. Amalgamare bene e quindi ripartire l’impasto negli stampini da crème- caramel imburrati e infarinati. Cuocere in forno, a bagnomaria, per circa 40 minuti. Sempre nel mixer, riunite il tonno e la besciamella rimasta, amalgamando bene (saranno sufficienti pochi giri). Aggiustate la salsa con il sale (e il pepe, eventualmente). Sfornare gli sformati direttamente nei piatti individuali cospargendoli con la salsa di tonno.

(Pensate le deliziose fave che tutti esaltano fresche col pecorino, nelle minestre, con la pancetta e i cipollotti, trasformate in una specie di nouvelle cucine: besciamella, mixer, frullato, stampini, tonno, crema, bagnomaria, forno. Povera cucina, poveri sapori e quanto lavoro inutile).

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