ACCADEMIA DEL GUSTO
LA SPEZIA 2006

 

Sapori e saperi

UNA LUNGA STORIA DI OLIVI E DI OLI 

 

L’albero d’olivo ha accompagnato la storia dell’uomo. Si sa che in medio Oriente già si coltivava 8000 anni fa. Furono i fenici che diffusero l’albero in tutto il Mediterraneo. I Romani si facevano pagare i tributi sotto forma di olio. Le nostre colline piene di alberi secolari, hanno subito sicuramente l’influsso di queste colonie, che si sono sviluppate intorno a Luni. L’olio era usato principalmente per la pulizia e l’igiene e per l’industria. Ad Imperia, per esempio, uno dei piatti tipici locali, stranamente, è ancora la capra e questo perché nel passato c’era un grande utilizzo di otri, che tutti sanno è la pelle di capra. Anticamente non si conoscevano ancora altri contenitori. L’animale doveva essere giovane per evitare l’enorme fetore che la pelle emana invecchiando. La carne veniva consumata in abbondanza. Quel piatto, veramente tipico, viene ancora riproposto in mille modi. 

Parlando della nostra ZONA, possiamo dire che la produzione di olive si aggira sempre sui 40 mila quintali. La resa non è alta, 11, 12, 15 %. In anni eccezionali e per partite altrettanti eccezionali, la resa raggiunge il 20 %. In media la nostra provincia produce intorno ai 5.000 quintali di olio. La cultura dell’olio extravergine ha ormai soppiantato l’utilizzo di altri oli di semi che nel passato erano stati con enfasi pubblicizzati. Quando non si sviluppa la mosca olearia o si riesce a combatterla con sistemi naturali e non invasivi, alcuni oli nostrani raggiungono il massimo della bontà e possono fregiarsi della Dop che è la denominazione di origine protetta. In provincia, dagli anni sessanta in poi, molti frantoi sono stati chiusi. Quelli che sono sopravvissuti, ristrutturati e con l’introduzione di moderne presse idrauliche, danno garanzie di ottimi oli. 

L’OLIO extravergine, come condimento, è insuperabile. Oggi viene definito grasso nobile, ma non dobbiamo dimenticare che fino a qualche anno fa veniva invogliato in modo particolare l’uso del burro e dell’olio di semi. L’olio extravergine finalmente, superando ogni pregiudizio, con tutte le sue caratteristiche, ha avuto il sopravvento e si sta affermando su tutte le piazze.  E’ stato chiarito che l’olio d’oliva non è più grasso di quello di semi per la semplice ragione che tutti gli oli hanno un identico potere calorico e la presunta maggiore digeribilità degli oli di semi non trova alcun fondamento scientifico. Anzi l’eccezionale valore nutritivo e terapeutico dell’olio d’oliva col l’appellativo “fattore di longevità” sottolinea le molteplici virtù di questo alimento.

Teniamo presente che le varietà di olivo schedate sono circa 400, molte conosciute anche con sinonimi dialettali. Ogni olio, in base alla coltivazione,  al microclima, al terreno, alle pratiche agronomiche, alle tecniche di estrazione adottate, ha la sua storia, il suo carattere, la sua personalità. E’ una ricchezza che permette di soddisfare i gusti più disparati con possibilità di abbinare gli oli del posto con i piatti tipici del territorio. Fra gli oli liguri il più blasonato è quello che proviene da olive taggiasche, ma ultimamente, con 100 piccole aziende registrate, anche l’olio del levante, diciamo spezzino, ha ottenuto la Dop. Fra i tanti oli italiani, quello ligure, è indicato come meno grasso, ma in effetti si tratta di un olio che ha una rilevante fluidità che fornisce al palato una sensazione di maggiore scorrevolezza. 

In futuro avremo anche l’olio che proverrà da olive surgelate. Sono gia allo studio questi sistemi. Avrà un gusto fresco di spremitura, ma  quell’olio dovrà essere consumato entro pochi giorni. Vedremo se avrà successo. La degustazione dipenderà solo da noi. Al negozio stiamo attenti alle etichette. La legge prevede una scadenza di 18 mesi dalla data di imbottigliamento, ma sorvola sull’anno di raccolta e produzione. Il fenomeno delle frodi esiste ancora. Anzi le diciture “olio di frantoio”, “prima spremitura”, “spremitura a freddo” e cose simili non garantiscono in alcun modo il valore del prodotto, ma servono a invogliare l’acquirente. Scegliamo quindi aziende garantite e ascoltiamo il nostro palato, che può darci maggiori consigli.

Per gli abbinamenti vale il consiglio dei vecchi, più saporito è il piatto, più saporito deve essere l’olio. In cucina teniamo presente la regionalità . E’ naturale condire un buon pesce con un olio extravergine ligure, così come è logico abbinare un olio pugliese alle verdure saltate in padella con olio  e peperoncino ed un risotto alla milanese condito con burro. I più esigenti possono tenere in dispensa due o tre tipi di oli, per condire, per cucinare, per friggere.           

 

OLFATTO E GUSTO DELL’OLIO

C’è chi lo sfrega sulle mani, chi lo fa gorgogliare in bocca, molti lo assaggiano sul pane. La prassi più naturale, portare l’olio a diretto contatto con i recettori sensoriali, pare che non sia sufficiente per determinare tutti i pregi e i difetti. Comunque i sensi più coinvolti nella degustazione sono l’olfatto e il gusto. Per percepire l’odore di una sostanza è necessario che questa sia volatile e che le sue molecole tendano a disperdersi nell’aria. Le sensazioni odorose potenzialmente migliaia. Di fronte a tante informazioni quello che conta è la memoria olfattiva. Se non abbiamo inserito nel nostro personale archivio quel dato sentore, non avremo la possibilità di riconoscerlo, di dargli un nome e comunicarlo. Capita di percepire un odore ma di non saperlo collegare a una sostanza precisa. Il senso del gusto è localizzato sulla lingua, dove ci sono i recettori, che sono stimolati da particolari sostanze, che trasmettono al cervello le informazioni. La loro funzione è specializzata e limitata ai quattro gusti fondamentali: dolce, acido, salato, amaro. 

Le mucose della bocca mostrano sensibilità agli stimoli: piccante, astringente, liscio, tenero, ma in particolare possiamo localizzare i gusti fondamentali.

DOLCE   -  è localizzato sulla parte anteriore della lingua, si attiva al contatto della sostanza zuccherina raggiungendo l’apice entro un secondo, per attenuarsi e scomparire nel giro di dieci secondi.

SALATO E ACIDO  - si percepiscono sui margini laterali della lingua, operano con altrettanta rapidità, ma la sensazione evolve più lentamente, persistendo per un tempo maggiore.

AMARO  - è circoscritto alla superficie posteriore, impiega più tempo a entrare in azione ma dura a lungo, anche dopo aver allontanato dalla bocca la sostanza amara.

 

IL SAPORE   Il binomio gusto, olfatto determina il sapore. In realtà al suo riconoscimento partecipa soprattutto l’olfatto, come si può constatare assaggiando qualcosa con il naso tappato, o quando si ha un forte raffreddore. Il gusto da solo svolge funzioni parziali. Insomma assaggiando i movimenti liberano sostanze volatili che costituiscono l’aroma e le portano, per via retronasale, a contatto con la mucosa olfattiva.        

 

PER DILETTO

Per esercitare le capacità sensoriali e arricchire la propria esperienza è essenziale un percorso formativo del gusto, che anche per diletto, si può fare attraverso schede dettagliate a punti.

Tre le fasi, esame visivo, olfattivo e gustativo. Osservare l’olio facendolo girare sulle pareti del bicchiere, a luce incidente e controluce: verificare le sfumature di colore, la limpidezza o l’opalescenza. Può apparire limpido, velato (come quando è nuovo), torbido (con impurità), colore verde  e giallo (dipende dalle varietà e dallo stadio di maturazione delle olive). I toni aranciato-rossastri, sono sempre associati alla degradazione ossidativi. I caratteri torbido e aranciato determina una valutazione negativa del campione. 

Esame olfattivo. Si porta il bicchiere al naso e attraverso brevi e ripetute inspirazioni, analizzare le sensazioni olfattive. Un olio vergine, ottimale, non sarà mai inodore, ma avrà profumo più o meno intenso. L’intensità, la composizione e la qualità dei profumi sono i caratteri sui quali concentrare l’attenzione. Per l’intensità ci si riferisce a una scala di valori crescente: appena percettibile, lieve, medio, intenso, molto intenso. 

Nella composizione del profumo la prima considerazione riguarda il fruttato di oliva. Il fruttato verde di oliva (odore del fruttato sano, fresco, colto al punto ottimale di maturazione) si accompagna a note di mela verde, di mandorla fresca, di pomodoro verde e a note floreale di erbacee. Al fruttato maturo (odore smorzato e dolciastro) si uniscono sentori di frutta dolce (melone) o secca (noce, mandorla, pinolo) talvolta di fieno. 

Questi profumi potranno presentarsi al naso separati, con uno o più elementi dominanti, oppure fusi in un bouquet più o meno  armonico.

Alla definizione aromatica delle olive partecipano poi la latitudine di coltivazioni e le tipicità del territorio. L’insieme delle sensazioni olfattive, sotto il profilo della qualità, è sintetizzabile con i termini, più o meno fine, fresco, elegante o al contrario pungente, pesante, grossolano. Ogni profumo, tranne gli odori sgradevoli, è un attributo positivo in proporzione alla qualità, all’intensità e all’armonia con cui è percepito. 

 

ESAME GUSTATIVO

E’ il momento di degustarlo, dal bicchiere un giusto quantitativo (circa un cucchiaio), lasciarlo cadere sulla lingua e trattenerlo senza farlo debordare. Aspirando aria prima lentamente e poi vigorosamente fra i denti si vaporizzerà l’olio in bocca portandolo a diretto contatto con le papille gustative. Si riposa un momento e poi si muove la lingua contro il palato e le labbra semiaperte. Si ripete l’operazione e infine si aspira dal naso (si riconsiderano i profumi) e si espelle. Le sensazioni di dolce, amaro e piccante sono espresse da una scala di quattro valori: assente, leggero, medio, intenso-dominante. Per quanto riguarda il corpo, la consistenza, un olio può apparire: vuoto, scarno, esile, pieno. La gradevole fusione delle sensazioni tratte dai vari parametri (aspetto, profumo, gusto e consistenza è espressa in un punteggio da 1 a 5 secondo i valori. 1 scarsa, 2 sufficiente, 3 media, 4 buona, 5 ottima.   


I PARERI DISCORDI DEI GRANDI CUOCHI

Fulvio Pierangelini (Gambero rosso di San Vincenzo LI)  OLIO EXTRAVERGINE per tutto, fritto, dolce e salato

Antonio Santini (Il Pescatore di Canneto sull’Oglio Mn)  Solo extravergine di varie regioni d’Italia, in base al piatto. Extravergine anche per dolci fritti e maionese, ricercando quelli più delicati. Solo le Chiacchiere di carnevale con lo strutto.

Angelo Volazza (Sorriso di Soriso  No)  Solo extravergine ligure (perché molto equilibrato e non aggredisce i piatti) 

Alfonso Iaccarino (Don Alfonso di Sant’Agata dei Due Golfi Na)  Distingue tra fritture veloci e fritture profonde ma anche tra piatto e piatto. Extravergine per fritture rapide, arachide per fritture sommerse. Per le pastelle olio neutro. Il pesce, cottura rapida, solo olio d’oliva. Mai olio di semi a crudo. Ama lo strutto, ma essendo complicato lo usa per le sfogliatelle.

Roberto Lamberti (Giapun di Vallecrosia Im) . Olio liguri, non extravergine per tutti i fritti, compreso le frittelle di mela. Le verdure da guarnizione le frigge nell’olio di arachide. Extravergine solo a crudo, oppure per pesci al forno e in casseruola.

Gianfranco Vissani  (Ristorante Vissani di Baschi Tn). Per tutte le fritture olio di soia o semi di girasole. Ritiene che l’olio d’oliva venga assorbito troppo dal cibo. L’extravergine solo a crudo, anche in salse e cibi cotti, mai per le alte temperature. Per le cotture lunghe, olio di semi o burro chiarificato (fatto evaporare lentamente il siero).   

 

PARLIAMO DI FRITTURA 

Avvenendo la trasmissione di calore dall’esterno, ogni pezzo di cibo subisce un riscaldamento maggiore in superficie e quando al centro si raggiungerà la temperatura ideale di cottura (poniamo 60° C) la parte più esterna avrà una temperatura  assai più elevata, tale da indurre diversi e profondi cambiamenti. Questo spiega la crosta superficiale, caratteristica che tanto concorre alla gradevolezza del fritto.  Prima della sua formazione il cibo continua a cedere liquidi al grasso di frittura, contribuendo a mantenere costante la temperatura. Superata questa fase la temperatura si alza e inizia la coloritura superficiale, che non deve essere eccessiva per evitare l’abbrunimento, E’ opportuno, sia dal punto di vista nutrizionale sia da quello organolettico, che l’alimento conservi il più a lungo possibile il proprio succo, per cui si agevola la formazione della crosticina attraverso infarinature, impastellature o dorature.  Va curata molto bene l’asciugatura del fritto eliminando le tracce della degradazione ossidativi contenuta nel grasso e l’untuosità che ne pregiudicherebbe la gradevolezza. 

 

COSA CONSIGLIARE PER FRIGGERE

Nelle frittura il grasso viene sottoposto a lungo ad un calore elevato ed è importante che non avvenga la rottura delle molecole (in chimica si chiama “pirolisi” ). Quando ciò avviene sentiamo odore e sapori acri, dannosi anche al fegato. Quindi è necessario un olio che abbia un calore costante. I grassi che per la loro struttura meglio resistono alla prolungata somministrazione di calore sono, nell’ordine: alcuni oli vegetali modificati, lo strutto di suino e l’olio di oliva. Il normale olio di semi, molto spesso usato per le fritture, è invece molto in basso nella scala della stabilità. Tanto è vero che nel resto d’Europa sulle confezioni di olio di semi si trova una scritta che avverte di non usarlo per friggere o una padella col una croce.

In Italia questa normativa non esiste, per cui lo stesso olio che altrove si raccomanda di non portare ad alte temperature, da noi viene normalmente usato proprio per friggere. L’altro problema dell’olio di semi è la facile ossidazione (la puzza di olio di semi). L’ossidazione è data dal contatto con l’aria e quindi è più facile nel caso in cui la bottiglia o la lattina non vengano rapidamente ultimate. A volte succede anche che un olio di ossida perché lasciato da troppo tempo sugli scaffali (a causa della pur minima quantità di ossigeno che penetra attraverso il tappo della bottiglia). Attenti alla data di scadenza o meglio ancora alla data di confezionamento. Più è recente meglio è.

 

GLI OLI MODIFICATI

Gli esperti dicono che sono i più resistenti al calore perché modificati in laboratorio. Non conferiscono alcun sapore al cibo che viene fritto. Anche qui attenti all’ossidazione. Vengono consigliati per friggere pietanze già di per se abbastanza gustose, come per esempio il pesce. Non si consiglia invece di friggere le patatine. 

MEGLIO L'OLIO EXTRAVERGINE OPPURE NO?

Per la resistenza al calore è indifferente, cambia invece l’apporto aromatico. L’olio extravergine porta con sé un corredo di profumi e sapori che all’altro mancano. L’impatto sul fritto sarà organoletticamente diverso. Torniamo all’esempio delle patatine, converrà usare l’extravergine, per il baccalà invece andrà benissimo un olio d’oliva non extravergine. Anche in questo caso è una questione di gusti e di abitudini. L’olio d’oliva è comunque il miglior olio da frittura in assoluto per quanto concerne gli aspetti nutrizionali e salutistici, con qualche limitazione per la netta caratterizzazione aromatica che conferisce ai cibi. Un buon fritto si fa con un buon olio d’oliva, di buon sapore, che si armonizzi con l’alimento in un insieme equilibrato e gradevole.

COSI’ PER IL BURRO E LO STRUTTO. Una perfetta cotoletta alla milanese si frigge nel burro, così come un galletto ruspante troverà giusta fine nell’olio extravergine. Lo strutto è un ottimo grasso per la frittura ma bisogna asciugarlo bene e consumarlo subito. Quando si fanno frittelle e dolci particolari come i krapfen, è meglio cospargere il tutto con uno strato di zucchero che nasconde la patina bianca. 

IL BURRO ha una percentuale (15 – 20 %) di siero e in frittura schiuma e si carbonizza. C’è chi lo fa evaporare lentamente a fuoco basso e dopo chiarificato lo utilizza ma non vedo le motivazioni. 

 

CONSIGLI (che tutti conoscete)

Friggere sempre in abbondante grasso (olio) tanto da consentire ai cibi di galleggiarvi agevolmente, scegliendo recipienti di forma e dimensioni adeguate alla quantità.

Ridurre gli alimenti da friggere in piccole porzioni o in fette sottili, per abbreviare il tempo di cottura

Scaldare preventivamente il grasso di frittura, ma non superare mai i 180 ° C.

Regolare la fiamma per mantenere il fuoco costante (specialmente alla fine quando è evaporata l’acqua ceduta dall’alimento).

Scolare bene su carta, mantenendo ben caldo.

Non salare mai durante la frittura, ma solo prima di servire.

Non riutilizzare mai il grasso di frittura.

 

FRIGGITRICE -  SI è  meglio perché tiene costante la temperatura, ma c’è molto sperpero di olio. Tenuto conto che è stato portato ad alta temperatura va buttato via. (ognuno si regola come vuole)

 

SOFFRITTI E ROSOLATURE

I soffritto andrebbero fatti a basse temperature e quindi si consiglia l’olio d’oliva perché da maggiori garanzie di stabilità. Se si vuole rosolare (la crosta) come per la cipolla o la pancetta conviene usare pochissimo olio e quando è dorato, proseguire in un’altra pentola con olio nuovo. Se si vuole una rosolatura classica, il trucco dei cuochi è quello di far soffriggere la cipolla in pochissima acqua salata, poi quando la cipolla è ormai trasparente e l’acqua del tutto evaporata, si aggiunge l’olio.

 

L’ESALTAZIONE  DEGLI OLI

L’olio di Moneglia è il più celebre della riviera ligure di Levante. Per assaggiarlo e acquistarlo il momento migliore è il lunedì dell’Angelo. Il giorno dopo Pasqua si tiene un mercato dell’olio d’oliva. Tanti stand gastronomici dove si può gustare questo meraviglioso e dorato succo d’olive sulla focaccia. 

I gattafin sono il piatto tradizionale di Levanto. Grandi ravioli, ripieni di erbi, un misto di bietole ed erbe aromatiche, formaggio, uova e aromi, preparati con la pasta fresca, ma poi buttati a friggere nell’olio bollente e serviti come antipasto.  Un tempo questo piatto era l’alimento base delle classi povere. Tradizione vuole che i gattafin siano nati come la pietanza dei lavoratori delle cave di arenaria di Punta Mesco, zona dove le erbette selvatiche si trovano in abbondanza (e possono sostituire le bietole). 

Le seppie in zemin

Lo zemin è un tegame dove le seppie vengono fatte rosolare con l’olio cipolla e pinoli, ricoperte di vino bianco e insaporite con pomodori e fatte stufare lentamente con le bietole. Il pesce fresco un tempo dominava le tavole locali (da vecchi menù si può vedere che costava di più il pollo). L’olio extravergine è  sempre menzionato. Col passare degli anni si è guadagnato la Dop (denominazione origine protetta). Per lo zemin normalmente si utilizzano i vini di Levanto (levanto rosso (sangiovese e ciliegiolo) Levanto bianco (fermentino, albarola e bosco)

 

VOLASTRA, OVVERO Vicus Olestre, IL PAESE DEGLI ULIVI

Porto Venere e Tellaro paesi di leggende dove il polpo la fa da padrone. A Porto Venere si raccontano storie di polpi giganti e a Tellaro la storia del polpo che suonò la campana e mise in fuga i pirati. In entrambi i borghi il polpo si condisce con l’olio d’oliva locale ed erbe aromatiche. 

La Spezia la mes-ciùa. Anche qui l’olio extravergine è un elemento base e determinante. Quel filo d’olio aggiusta veramente la minestra. 

Il menù del Parco delle 5 Terre. Anche  qui le seppie con piselli, il polpo con le patate, il tegame d’acciughe (il tian, specialità di Vernazza), la torta di riso salata, l’olio extravergine locale è determinante.

Persino nel Cappon Magro, specialità nata come capponata dei rematori delle galere genovesi il cui rancio era a base di gallette, fave, pesce, castagne e mosciame (bottarga di delfino), l’olio è molto importante. Nel XIX secolo fu trasformato dai ricchi borghesi genovesi nel piatto più sontuoso della Liguria. La ricetta tradizionale stabilita a metà dell’800 da Emanuele Rossi e Giovan Battista Ratto, autori delle bibbie culinarie liguri, prevede cavolo, sedano, scorzonera, patate, carote, fagiolini, carciofi bolliti, tagliati a tocchetti, conditi con salsa verde (a base di aglio, prezzemolo, pistacchio, capperi, pinoli e acciughe e olio) e adagiati sopra gallette (bagnate precedentemente con acqua e aceto e strizzate). Le gallette vengono irrorate da olio extravergine e mosciame. Gli strati di verdura si alternano con altri piani costituiti da pesci (cappone ovvero lo scorfano,ombrina, nasello, branzino) e crostacei. Il tutto crea una piramide (tipo panettone), sormontata da spiedini di scampi, gamberi e rondelle di aragoste e ostriche.     

 

DALLA LIGURIA ALLA SICILIA L'OLIO EXTRAVERGINE LA FA DA PADRONE:
LA PADELLATA SICILIANA

L’olio extravergine per il suo sapore e profumo incide in modo determinante persino nelle varie padellate che ritroviamo nelle cucine d’Italia. In Sicilia per esempio la “padellata” di fette di tonnina e di fette di peperoni cotte in olio bollente, fritte separatamente e poi riunite ed amalgamate con pomodoro e con gli odori e le spezie locali. Persino la “paella” equivale alla padella dove si prepara il cibo. Poco pomodoro soffritto in olio con crostacei e molluschi e tocchetti di pesci ai quali si aggiungono piselli, riso e un pizzico di zafferano per arrivare alla cottura con qualche tazzina di acqua (di cottura) e alla decorazione finale con fettine di limone.

Paella è anche quella che ignorando il pesce si serve di tocchetti di pollo e di coniglio oppure di salsicce e insaccati vari. In Sicilia sono note anche le padellate di tenere fettine di trippe e centopelli bollite, arricchite con cubetti di melanzane, sempre fritte, in precedenza trattati con sale, sotto peso, onde privarle del loro sgradevole amaro, con l’aggiunta di avanzi di carni gia cucinate, amalgamate dal pomodoro e profumate di basilico, con gli aromi e decorate in questo caso, con fettine di uova sode. In pratica queste padellate sono sorelle della paella spagnola. Si potrebbe parlare della caponata di ortaggi: peperoni, melanzane, pomodori, finocchi, sedani, olive e capperi fritti separatamente e governati in agro dolce. Insomma la padella ci permette di buttar giù tanta roba bella e buona, che sta bene insieme, senza violare le leggi e i principi generali ai quali la nostra gastronomia obbedisce da sempre senza offendere i sapori e i gusti ai quali i nostri palati sono stati da sempre educati. 

Insomma l’olio ha in cucina un grande predominio, perché si usa per cucinare, per friggere, per condire, per conservare. 

La cucina popolare si esalta in modo particolare nei periodi di festa, seguendo le stagioni. Persino a Natale, quando i piatti della tradizione vengono indicati come “poveri” con la pasta fatta in casa, con acqua e farina, condite con le salse a base di acciughe salate. L’esaltazione avviene persino con il pane raffermo, fritto in padella con poco aglio. Quel croccantino della mollica fritta rende il piatto, molto gustoso. Cosa dire della patata lessa condita con l’olio buono, poco aglio e il prezzemolo o come usano in altre regioni con l’origano. 

La cucina contadina, per alcune pietanze o per i fritti,  resta però ancora legata all’utilizzo della sugna. E’ dimostrato che i ragù, così come le frittelle o le patate fritte, mangiate calde, sono molto più buone se fritte nella sugna.       

LE OLIVE ASCOLANE

Olive famose sono quelle taggiasche, quelle pugliesi al forno, le ascolane. Queste ultime sono particolarissime e si sono diffuse possiamo dire in tutto il mondo.  Olive che trovano riscontro storico dopo il 1800, questo perché prima le campagne erano povere, il bestiame era scarso il foraggio  era scarso (il mais venne introdotto intorno al 1860) Il bestiame veniva utilizzato per il lavoro dei campi. Delle olive verdi tenere, ascolane, ben farcite di carne, tartufi e di altri ingredienti  compaiono in un opuscolo del 1901 del professor Giuseppe Castelli. Si parlava delle olive che utilizzavano le famiglie agiate ascolane solo in determinate circostanze. Era un piatto costoso, lungamente manipolato, che si poteva mangiare solo nelle case più facoltose. Dopo gli anni 50 sono state intensificate le colture. Oggi quelle olive costano il doppio e si trovano solo tra Natale e Pasqua.  Pochi mesi. Tanti ristoratori adoperano però olive greche, spagnole, siciliane per tutto l’anno. Olive ripiene di un impasto composto da carne suina, bovina, pollo, parmigiano, spezie, uova e poi passato in una pastella e fritte.    

 

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